lunedì 19 novembre 2012

18. Getsemani

"Allora Gesù andò con loro in un luogo, chiamato Getsemani, e disse ai discepoli: «Sedetevi qui, mentre Io vado là a pregare». E, presi con sé Pietro e i due figli di Zebedeo, cominciò a provare tristezza e grande angoscia. Allora Egli disse loro: «L'anima Mia è profondamente triste, fino alla morte; restate qui e vegliate con Me».”  (Matteo 26:36-38)

I discepoli non avevano mai visto Gesù oppresso da angoscia; Colui che aveva sempre risollevato gli afflitti ora cercava simpatia umana, chiedendo a Pietro, Giacomo e Giovanni di pregare con Lui. Gesù si gettò sulle ginocchia con la faccia a terra, pregando: “Padre Mio, se è possibile, allontana da Me questo calice; tuttavia non come Io voglio, ma come vuoi Tu”  (Matteo 26:39).
Gesù tremava di fronte al calice che doveva bere. Cos’era questo calice? Che cosa temeva? Le sofferenze fisiche che avrebbe patito sulla croce? No. Tempo prima, infatti, aveva detto ai discepoli: “Non temete coloro che uccidono il corpo, e dopo questo non possono far niente di più”  (Luca 12:4).

Nel Getsemani, Gesù si stava caricando della colpa dei peccati di un’umanità ribelle a Dio: “Ma Egli è stato trafitto per le nostre trasgressioni, schiacciato per le nostre iniquità; il castigo per cui abbiamo la pace è caduto su di Lui, e per le Sue lividure noi siamo stati guariti. Noi tutti come pecore eravamo erranti, ognuno di noi seguiva la propria via, e l'Eterno ha fatto ricadere su di Lui l'iniquità di noi tutti”  (Isaia 53:5-6).

Poco prima, i discepoli avevano ascoltato parole cupe dalla Sua bocca: “Voi tutti sarete scandalizzati di Me questa notte, perché sta scritto: «Percuoterò il Pastore e le pecore saranno disperse»”  (Marco 14:27). Gesù stava citando un passaggio del profeta Zaccaria; le parole precedenti a queste recitano: “Dèstati, o spada, contro il Mio Pastore e contro l’uomo che è Mio compagno – dice l’Eterno degli eserciti”  (Zaccaria 13:7).
Era il Padre stesso che porgeva questo calice amaro a Gesù, l’Agnello di Dio “preconosciuto prima dalla fondazione del mondo”  (1Pietro 1:20), affinché si adempisse il grande piano della salvezza, concepito fin dall’eternità.

In quei momenti di terribile agonia, Satana cercava di distogliere il Figlio di Dio dall’andare alla croce. Gesù sapeva molto bene che il peccato produce una separazione da Dio; Satana suggeriva a Gesù che, caricandosi della condanna dei peccati dell’umanità, quella separazione sarebbe stata eterna, che non avrebbe mai più rivisto il Padre e avrebbe perso la Sua stessa vita eterna per un’umanità ingrata, che non avrebbe mai compreso il Suo sacrificio.
Le evidenze, in effetti, sembravano dare ragione al tentatore; nemmeno il popolo eletto, Israele, aveva accolto il Messia promesso, nemmeno la famiglia di Gesù e i dodici apostoli avevano compreso pienamente la natura della missione del loro Maestro.

Le Scritture erano l’unica arma di Gesù contro la tentazione di Satana; Isaia aveva profetizzato che Gesù avrebbe avuto un futuro oltre la tomba, avrebbe visto avrebbe visto i salvati, frutto delle Sue sofferenze, e si sarebbe rallegrato. 
Gesù si aggrappò a questa promessa: “Ma piacque all'Eterno di percuoterLo, di farLo soffrire. Dopo aver dato la Sua vita in sacrificio per il peccato, Egli vedrà una progenie, prolungherà i Suoi giorni, e la volontà dell'Eterno prospererà nelle Sue mani. Egli vedrà il frutto del travaglio della Sua anima e ne sarà soddisfatto; per la Sua conoscenza, il giusto, il Mio servo, renderà giusti molti, perché si caricherà delle loro iniquità”  (Isaia 53:10-11).

Quella sera stessa, prima di uscire per recarsi nel Getsemani, durante l’ultima cena, Gesù aveva offerto ai discepoli un altro calice, dicendo loro: “Bevetene tutti, perché questo è il Mio sangue, il sangue del nuovo patto che è sparso per molti per il perdono dei peccati”  (Matteo 26:27-28).
Gesù ha bevuto il calice dell’ira di Dio contro il peccato, perché tu potessi bere il calice della salvezza: “Che darò all'Eterno in cambio di tutti i benefici che mi ha fatto? Io alzerò il calice della salvezza e invocherò il nome dell’Eterno”  (Salmo 116:12-13).

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