martedì 17 settembre 2013

26. Il serpente di bronzo

“E, come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che il Figlio dell'uomo sia innalzato, affinché chiunque crede in Lui non perisca, ma abbia vita eterna.”  (Giovanni 3:14-15)

Gesù annunciò alcune tra le più profonde rivelazioni sul piano della salvezza, parlando a Nicodemo nel cuore di una notte primaverile. Ricorse ad un episodio delle Scritture ben noto al Suo interlocutore.

Il popolo d’Israele, in viaggio nel deserto, si lamentò contro Dio e contro Mosè: “Perché ci avete fatti uscire dall’Egitto per farci morire in questo deserto?”  (Numeri 21:5).
Disprezzarono le tenere cure di Dio nei loro confronti ed Egli, rimuovendo la Sua protezione, permise che i serpenti del deserto facessero quello che naturalmente avrebbero fatto senza l’intervento divino: mordere gli Israeliti. Molti di loro morirono.

Il popolo riconobbe il suo peccato e chiese a Mosè di pregare affinché Dio allontanasse da loro i serpenti. In risposta alla preghiera del patriarca, Dio disse: “«Fa' un serpente ardente e mettilo sopra un'asta; e avverrà che chiunque sarà morso e lo guarderà, vivrà». Mosè fece allora un serpente di bronzo e lo mise sopra un'asta; e avveniva che, quando un serpente mordeva qualcuno, se questi guardava il serpente di bronzo, viveva”  (Numeri 21:8-9).

Un Israelita avrebbe potuto dubitare della validità del rimedio proposto; eppure funzionava per chi guardava con fede al serpente di bronzo innalzato, credendo che Dio lo avrebbe salvato. Gesù applicò a Se stesso il simbolo del serpente: “E, come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che il Figlio dell'uomo sia innalzato, affinché chiunque crede in Lui non perisca, ma abbia vita eterna”  (Giovanni 3:14-15).

Questa storia fu scelta da Gesù perché è un’illustrazione del piano della salvezza. Come il serpente di bronzo era stato innalzato su di un’asta, così Gesù doveva essere innalzato sulla croce, affinché potessimo essere guariti. 

Come gli Israeliti erano stati morsi dai serpenti e morivano a causa del veleno, così l’umanità è stata morsa nell’Eden dal “serpente antico, che è chiamato diavolo e Satana”  (Apocalisse 12:9) e il veleno del peccato ci condanna a morte eterna, perché “il salario del peccato è la morte”  (Romani 6:23).

Come gli Israeliti potevano vivere solo guardando al serpente di bronzo innalzato su di un’asta, così noi possiamo essere salvati solo guardando con l'occhio della fede a Gesù, “l’Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo”  (Giovanni 1:29).

Per quale ragione Dio fece fare a Mosè, come simbolo del Figlio di Dio, un serpente di bronzo da mettere sull’asta, anziché, per esempio, un agnello? C’era una lezione preziosa in questo simbolo.
La morte degli Israeliti era causata dai serpenti e, per trovare guarigione, avrebbero dovuto guardare l’immagine di un altro serpente.

Così l’umanità, condannata a morte a causa del peccato, avrebbe trovato salvezza guardando al sacrificio del Redentore, il Figlio di Dio incarnatosi “in forma simile alla carne di peccato”  (Romani 8:3).
Nel giardino dell’Eden, Gesù stesso annunciò al serpente la sua sconfitta futura; un Salvatore sarebbe venuto dal seme della donna: “Esso ti schiaccerà il capo, e tu le ferirai il calcagno”  (Genesi 3:15). Attraverso la croce, che rappresenta la ferita e allo stesso tempo la vittoria su Satana, sarebbe giunta la nostra liberazione dalla condanna del peccato, perché Cristo la prese su di Sè.

L’apostolo Paolo scrisse sulla croce: “Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge, essendo diventato maledizione per noi (poiché sta scritto: «Maledetto chiunque è appeso al legno»)”  (Galati 3:13).
“Poiché Egli ha fatto essere peccato per noi Colui che non ha conosciuto peccato, affinché noi fossimo fatti giustizia di Dio in Lui”  (2Corinzi 5:21).

“Ma Egli è stato trafitto per le nostre trasgressioni, schiacciato per le nostre iniquità; il castigo per cui abbiamo la pace è caduto su di Lui, e per le Sue lividure noi siamo stati guariti. Noi tutti come pecore eravamo erranti, ognuno di noi seguiva la propria via, e l'Eterno ha fatto ricadere su di Lui l'iniquità di noi tutti”  (Isaia 53:5-6).

martedì 3 settembre 2013

25. Dead Man Walking

“Chi ha il Figlio, ha la vita; chi non ha il Figlio di Dio, non ha la vita”  (1Giovanni 5:12)

“Dead man walking”, ovvero “uomo morto che cammina”. Queste agghiaccianti parole risuonano nell’aria e nelle orecchie dei condannati a morte di alcune zone degli Stati Uniti. È il giorno dell’esecuzione: il detenuto esce per l’ultima volta dalla sua cella nel braccio della morte e la guardia carceraria grida: “Uomo morto che cammina!”.

Immagina l’eco di questa terribile sentenza rimbalzare nei pensieri del condannato; davanti a lui c’è un corridoio e, in fondo, una stanza che lo aspetta. Non c’è scampo per lui, il suo percorso è già tracciato; non c’è altra possibilità, non c’è nessuna via di fuga, nessuna speranza, nessun futuro.

Non importa cosa gli succederà lungo quel corridoio; non importa se piangerà o meno, se inciamperà, se suderà freddo, se tossirà, se dalle finestre delle altre celle entrerà un raggio di sole oppure no. Non importa niente di niente. È un uomo già morto.

Ma ancora cammina.

Il suo destino è irrimediabilmente segnato; nel momento in cui la guardia pronuncia la sua frase, il condannato diventa morto. Si trova in una condizione paradossale; è come se fosse già morto, ma ancora gli resta un breve periodo di vita. Miliardi di persone su questo pianeta si trovano nella stessa condizione, spiritualmente parlando.

“E la testimonianza è questa: Dio ci ha dato la vita eterna, e questa vita è nel Suo Figlio”  (1Giovanni 5:11).
Molti percorrono il corridoio della loro vita senza Gesù; in fondo c’è una sola stanza dove incontreranno la morte. Molti vivono come uomini morti che camminano; hanno una vita, una casa, una famiglia, un lavoro, ma il loro destino eterno è segnato: non saranno salvati. Sono uomini già morti, eternamente morti, che hanno davanti ancora un tratto di vita.

C’è, però, una differenza fondamentale con la condizione del condannato a morte; Gesù ha già percorso quel corridoio fino in fondo, ha già subito la condanna che era nostra: “Cristo ha sofferto una volta per i peccati, il giusto per gl’ingiusti, per condurci a Dio” ,“Egli stesso portò i nostri peccati nel Suo corpo sul legno della croce”  (1Pietro 3:18, 2:24).

Hai la possibilità di voltarti e camminare nella direzione opposta; non c’è bisogno che tu sia perso, separato da Dio per l’eternità, perché Gesù ha subìto la morte che era tua, affinché potessi avere vita eterna. 
La Bibbia dice: “Chi ha il Figlio, ha la vita; chi non ha il Figlio di Dio, non ha la vita”  (1Giovanni 5:12). Chi accetta il Suo sacrificio ha la vita, ma chi non accetta che Cristo sia morto al suo posto subirà la condanna per i suoi peccati.

Pensa al dolore che Gesù prova nel vedere le persone per le quali è morto scegliere di subire la condanna sulla propria pelle! Oggi ci rivolge un accorato appello: “Io non mi compiaccio della morte dell’empio, ma che l’empio si converta dalla sua via e viva; convertitevi, convertitevi dalle vostre vie malvagie. Perché mai dovreste morire, o casa d’Israele?”  (Ezechiele 33:11).