giovedì 28 novembre 2013

28. Io sono un verme

“Ma Io sono un verme e non un uomo; il vituperio degli uomini, e disprezzato dal popolo.”  (Salmo 22:6)

Il Salmo 22, scritto da Davide circa 1000 anni prima di Cristo, contiene profezie dettagliate del Messia che doveva venire e in particolare delle Sue sofferenze: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Perché sei così lontano e non vieni a liberarmi, dando ascolto alle parole del mio gemito?”  (Salmo 22:1).
Queste parole furono ripetute da Gesù mentre era sulla croce: Verso l'ora nona, Gesù gridò con gran voce, dicendo: «Elì, Elì, lammà sabactanì?». Cioè: «Dio Mio, Dio Mio, perché Mi hai abbandonato?»”  (Matteo 27:46).

La frase: “Io sono un verme e non un uomo”  (Salmo 22:6) può apparire enigmatica a una prima lettura; la parola usata da Davide, nell’originale ebraico, è tôlâ‛, che è tradotta in molti altri testi dell’Antico Testamento con scarlatto. Infatti, la tinta color scarlatto era ricavata da un insetto, il Coccus Ilicis, il quale vive sugli alberi, generalmente querce.

La femmina si attacca con forza alla corteccia di un albero e dà alla luce le larve una volta sola nella vita, perché muore nel farlo. Deposita le uova sotto il suo corpo per proteggerle e, quando le larve sono pronte, la madre muore secernendo una sostanza di colore scarlatto che tinge il legno e anche le larve stesse.
Dopo tre giorni, il corpo della madre perde la colorazione scarlatta e diventa come una cera bianca che si stacca dal legno e piove al suole come fosse un fiocco di neve.

Quale straordinaria illustrazione della morte e della risurrezione di Gesù! Egli ha versato il Suo sangue prezioso macchiando il legno della croce. Come la madre del Coccus Ilicis dà alla luce larve una sola volta nella vita, così Gesù, offrendo Se stesso in sacrificio “una volta per sempre”, ha dato alla luce i Suoi figli spirituali, “i quali non sono nati da sangue, né da volontà di carne, né da volontà di uomo, ma sono nati da Dio”  (Ebrei 10:10, Giovanni 1:13).

La Sua morte è necessaria per la nostra nuova nascita, senza la quale non c’è salvezza: “Conveniva, infatti, a Colui a causa del quale e per mezzo del quale sono tutte le cose, nel portare molti figli alla gloria, di rendere perfetto per mezzo di sofferenze l'autore della loro salvezza”  (Ebrei 2:10).

Come il sangue della madre ricopre le larve, così i salvati sono stati eletti da Dio “per essere aspersi col sangue di Gesù Cristo”  (1Pietro 1:2).
L’apostolo Giovanni vide in visione Gesù “vestito di una veste intrisa nel sangue”  e i redenti, i quali “hanno lavato le loro vesti e le hanno imbiancate nel sangue dell'Agnello”  (Apocalisse 19:13, 7:14). Il sangue di Gesù è l’unica cosa che può purificare l’uomo dai suoi peccati!

La sera prima di morire Gesù disse: “Questo è il Mio sangue, il sangue del nuovo patto che è sparso per molti per il perdono dei peccati”  (Matteo 26:28).  E oggi ti invita: “«Venite quindi e discutiamo assieme», dice l'Eterno. «Anche se i vostri peccati fossero come scarlatto, diventeranno bianchi come neve»”  (Isaia 1:18).

“A Lui che ci ha amati e ci ha lavati dai nostri peccati nel Suo sangue… a Lui sia la gloria e il dominio nei secoli dei secoli. Amen”  (Apocalisse 1:5-6).

mercoledì 30 ottobre 2013

27. Io depongo la Mia vita

“Per questo Mi ama il Padre, perché Io depongo la Mia vita per prenderla di nuovo. Nessuno Me la toglie, ma la depongo da Me stesso”  (Giovanni 10:17-18)

Nathan Saint era un pilota e missionario americano in Ecuador; insieme ad altri quattro missionari aveva in cuore di raggiungere la temuta tribù dei Waodani, i quali erano conosciuti per la loro violenza sia nei loro rapporti interni sia verso chi non apparteneva alla loro tribù.

I missionari sorvolarono la zona abitata dai Waodani individuando diversi insediamenti; decisero di contattarli calando dei doni dall’aereo tramite una fune. Questi approcci andarono avanti per settimane; con il passare del tempo usarono anche un megafono per pronunciare alcune frasi nella lingua dei Waodani, i quali sembravano apprezzare i doni e iniziarono a ricambiare.

I missionari passarono alla fase successiva: cercare di incontrare i Waodani. Scelsero una zona lungo il fiume non lontana da un villaggio e, per mezzo dell’aereo, avvisarono gli abitanti della loro presenza. I primi contatti furono positivi, ma, senza alcun preavviso, il giorno 8 gennaio 1956 i cinque missionari furono uccisi da un gruppo di Waodani.

La sorella di Nathan Saint e la moglie di uno degli altri missionari uccisi andarono a vivere con i Waodani e molti di loro si convertirono al cristianesimo. Steve Saint, figlio di Nathan, ha raccontato questa storia nel film “La punta della lancia”.

Nella scena finale del film un uomo della tribù, con cui Steve era diventato amico, gli confessò di essere stato uno degli assassini di suo padre. L’uomo chiese a Steve di togliergli la vita e gli mise una lancia in mano. Steve decise di non vendicarsi e rispose: “Nessuno ha tolto la vita a mio padre, egli l’ha donata”. Benché ucciso dai Waodani, Nathan Saint aveva donato la sua vita, essendo stato disposto a rischiarla per portare il vangelo a quella tribù.

Gesù, venendo sulla terra ed esponendosi così alle tentazioni di Satana, ha deciso di rischiare la Sua stessa vita eterna. Leggendo il racconto della passione si potrebbe pensare che Gesù fosse in balìa di uomini malvagi, impossibilitato a fuggire… ma non era così.

Nel momento dell’arresto nel Getsemani Gesù disse a Pietro, che aveva cercato di difenderLo con la spada: “Riponi la tua spada nel fodero; non berrò Io il calice che il Padre Mi ha dato?”  (Giovanni 18:11).
“Pensi forse che Io non potrei adesso pregare il Padre Mio, perché Mi mandi più di dodici legioni di angeli? Come dunque si adempirebbero le Scritture, le quali dicono che deve avvenire così?”  (Matteo 26:53-54).
E a Pilato, che pensava di avere il potere di liberarLo o condannarLo alla crocifissione, Gesù disse: “Tu non avresti alcun potere su di Me se non ti fosse dato dall’alto”  (Giovanni 19:11).

Gesù aveva il potere di evitare la morte, ma non lo esercitò. Decise di offrire volontariamente la Sua vita, sapendo che il Suo sacrificio avrebbe portato salvezza all’umanità: “Per questo Mi ama il Padre, perché Io depongo la Mia vita per prenderla di nuovo. Nessuno Me la toglie, ma la depongo da Me stesso; Io ho il potere di deporla e il potere di prenderla di nuovo; questo comando ho ricevuto dal Padre Mio”  (Giovanni 10:17-18).

Gesù non si tirò indietro, ma fu “ubbidiente fino alla morte e alla morte di croce”  (Filippesi 2:8), perché sapeva che stava adempiendo il piano di Dio. Gesù non morì perché ucciso da uomini malvagi, ma depose la Sua vita. Il Salvatore “ha versato la Sua vita fino a morire”  (Isaia 53:12).

martedì 17 settembre 2013

26. Il serpente di bronzo

“E, come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che il Figlio dell'uomo sia innalzato, affinché chiunque crede in Lui non perisca, ma abbia vita eterna.”  (Giovanni 3:14-15)

Gesù annunciò alcune tra le più profonde rivelazioni sul piano della salvezza, parlando a Nicodemo nel cuore di una notte primaverile. Ricorse ad un episodio delle Scritture ben noto al Suo interlocutore.

Il popolo d’Israele, in viaggio nel deserto, si lamentò contro Dio e contro Mosè: “Perché ci avete fatti uscire dall’Egitto per farci morire in questo deserto?”  (Numeri 21:5).
Disprezzarono le tenere cure di Dio nei loro confronti ed Egli, rimuovendo la Sua protezione, permise che i serpenti del deserto facessero quello che naturalmente avrebbero fatto senza l’intervento divino: mordere gli Israeliti. Molti di loro morirono.

Il popolo riconobbe il suo peccato e chiese a Mosè di pregare affinché Dio allontanasse da loro i serpenti. In risposta alla preghiera del patriarca, Dio disse: “«Fa' un serpente ardente e mettilo sopra un'asta; e avverrà che chiunque sarà morso e lo guarderà, vivrà». Mosè fece allora un serpente di bronzo e lo mise sopra un'asta; e avveniva che, quando un serpente mordeva qualcuno, se questi guardava il serpente di bronzo, viveva”  (Numeri 21:8-9).

Un Israelita avrebbe potuto dubitare della validità del rimedio proposto; eppure funzionava per chi guardava con fede al serpente di bronzo innalzato, credendo che Dio lo avrebbe salvato. Gesù applicò a Se stesso il simbolo del serpente: “E, come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che il Figlio dell'uomo sia innalzato, affinché chiunque crede in Lui non perisca, ma abbia vita eterna”  (Giovanni 3:14-15).

Questa storia fu scelta da Gesù perché è un’illustrazione del piano della salvezza. Come il serpente di bronzo era stato innalzato su di un’asta, così Gesù doveva essere innalzato sulla croce, affinché potessimo essere guariti. 

Come gli Israeliti erano stati morsi dai serpenti e morivano a causa del veleno, così l’umanità è stata morsa nell’Eden dal “serpente antico, che è chiamato diavolo e Satana”  (Apocalisse 12:9) e il veleno del peccato ci condanna a morte eterna, perché “il salario del peccato è la morte”  (Romani 6:23).

Come gli Israeliti potevano vivere solo guardando al serpente di bronzo innalzato su di un’asta, così noi possiamo essere salvati solo guardando con l'occhio della fede a Gesù, “l’Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo”  (Giovanni 1:29).

Per quale ragione Dio fece fare a Mosè, come simbolo del Figlio di Dio, un serpente di bronzo da mettere sull’asta, anziché, per esempio, un agnello? C’era una lezione preziosa in questo simbolo.
La morte degli Israeliti era causata dai serpenti e, per trovare guarigione, avrebbero dovuto guardare l’immagine di un altro serpente.

Così l’umanità, condannata a morte a causa del peccato, avrebbe trovato salvezza guardando al sacrificio del Redentore, il Figlio di Dio incarnatosi “in forma simile alla carne di peccato”  (Romani 8:3).
Nel giardino dell’Eden, Gesù stesso annunciò al serpente la sua sconfitta futura; un Salvatore sarebbe venuto dal seme della donna: “Esso ti schiaccerà il capo, e tu le ferirai il calcagno”  (Genesi 3:15). Attraverso la croce, che rappresenta la ferita e allo stesso tempo la vittoria su Satana, sarebbe giunta la nostra liberazione dalla condanna del peccato, perché Cristo la prese su di Sè.

L’apostolo Paolo scrisse sulla croce: “Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge, essendo diventato maledizione per noi (poiché sta scritto: «Maledetto chiunque è appeso al legno»)”  (Galati 3:13).
“Poiché Egli ha fatto essere peccato per noi Colui che non ha conosciuto peccato, affinché noi fossimo fatti giustizia di Dio in Lui”  (2Corinzi 5:21).

“Ma Egli è stato trafitto per le nostre trasgressioni, schiacciato per le nostre iniquità; il castigo per cui abbiamo la pace è caduto su di Lui, e per le Sue lividure noi siamo stati guariti. Noi tutti come pecore eravamo erranti, ognuno di noi seguiva la propria via, e l'Eterno ha fatto ricadere su di Lui l'iniquità di noi tutti”  (Isaia 53:5-6).

martedì 3 settembre 2013

25. Dead Man Walking

“Chi ha il Figlio, ha la vita; chi non ha il Figlio di Dio, non ha la vita”  (1Giovanni 5:12)

“Dead man walking”, ovvero “uomo morto che cammina”. Queste agghiaccianti parole risuonano nell’aria e nelle orecchie dei condannati a morte di alcune zone degli Stati Uniti. È il giorno dell’esecuzione: il detenuto esce per l’ultima volta dalla sua cella nel braccio della morte e la guardia carceraria grida: “Uomo morto che cammina!”.

Immagina l’eco di questa terribile sentenza rimbalzare nei pensieri del condannato; davanti a lui c’è un corridoio e, in fondo, una stanza che lo aspetta. Non c’è scampo per lui, il suo percorso è già tracciato; non c’è altra possibilità, non c’è nessuna via di fuga, nessuna speranza, nessun futuro.

Non importa cosa gli succederà lungo quel corridoio; non importa se piangerà o meno, se inciamperà, se suderà freddo, se tossirà, se dalle finestre delle altre celle entrerà un raggio di sole oppure no. Non importa niente di niente. È un uomo già morto.

Ma ancora cammina.

Il suo destino è irrimediabilmente segnato; nel momento in cui la guardia pronuncia la sua frase, il condannato diventa morto. Si trova in una condizione paradossale; è come se fosse già morto, ma ancora gli resta un breve periodo di vita. Miliardi di persone su questo pianeta si trovano nella stessa condizione, spiritualmente parlando.

“E la testimonianza è questa: Dio ci ha dato la vita eterna, e questa vita è nel Suo Figlio”  (1Giovanni 5:11).
Molti percorrono il corridoio della loro vita senza Gesù; in fondo c’è una sola stanza dove incontreranno la morte. Molti vivono come uomini morti che camminano; hanno una vita, una casa, una famiglia, un lavoro, ma il loro destino eterno è segnato: non saranno salvati. Sono uomini già morti, eternamente morti, che hanno davanti ancora un tratto di vita.

C’è, però, una differenza fondamentale con la condizione del condannato a morte; Gesù ha già percorso quel corridoio fino in fondo, ha già subito la condanna che era nostra: “Cristo ha sofferto una volta per i peccati, il giusto per gl’ingiusti, per condurci a Dio” ,“Egli stesso portò i nostri peccati nel Suo corpo sul legno della croce”  (1Pietro 3:18, 2:24).

Hai la possibilità di voltarti e camminare nella direzione opposta; non c’è bisogno che tu sia perso, separato da Dio per l’eternità, perché Gesù ha subìto la morte che era tua, affinché potessi avere vita eterna. 
La Bibbia dice: “Chi ha il Figlio, ha la vita; chi non ha il Figlio di Dio, non ha la vita”  (1Giovanni 5:12). Chi accetta il Suo sacrificio ha la vita, ma chi non accetta che Cristo sia morto al suo posto subirà la condanna per i suoi peccati.

Pensa al dolore che Gesù prova nel vedere le persone per le quali è morto scegliere di subire la condanna sulla propria pelle! Oggi ci rivolge un accorato appello: “Io non mi compiaccio della morte dell’empio, ma che l’empio si converta dalla sua via e viva; convertitevi, convertitevi dalle vostre vie malvagie. Perché mai dovreste morire, o casa d’Israele?”  (Ezechiele 33:11).

mercoledì 20 febbraio 2013

24. In cima al monte

“Abrahamo rispose: «Figlio mio, Dio provvederà Egli stesso l’agnello per l’olocausto»”.  (Genesi 22:8)

Erano stati i tre giorni più lunghi della sua vita: Abrahamo era arrivato al luogo che Dio gli aveva indicato. La voce che aveva imparato a conoscere bene gli aveva detto di sacrificare suo figlio Isacco, il figlio della promessa. Dio gli aveva detto di Isacco: “Io stabilirò il Mio patto con lui, come un patto eterno con la sua discendenza dopo di lui”  (Genesi 17:19).

Abrahamo disse ai servi: “Io e il ragazzo andremo fin là e adoreremo; poi ritorneremo da voi”  (Genesi 22:5); credeva alla promessa di Dio e sapeva che se avesse sacrificato suo figlio, “Dio era potente da risuscitarlo anche dai morti”  (Ebrei 11:19). La sua fede fu messa a durissima prova, ma ne uscì vincitrice perché si appoggiava sulle infallibili promesse di Dio.

Padre e figlio presero la legna, il fuoco ed il coltello per l’olocausto e si incamminarono verso la cima del monte. Lungo la strada Isacco chiese al padre: “Ecco il fuoco e la legna; ma dov'è l'agnello per l'olocausto?” (Genesi 22:7). La risposta di Abrahamo, oltre a testimoniare della sua fiducia in Dio, fu profetica: “Figlio mio, Dio provvederà Egli stesso l'agnello per l'olocausto”  (Genesi 22:8).
Non solo Dio provvide quello stesso giorno per il sacrificio, ma sarebbe diventato Egli stesso l’Agnello. Gesù era la risposta alla domanda di Isacco, Egli è “l’Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo”  (Giovanni 1:29).

“Abrahamo edificò l’altare e vi accomodò la legna; poi legò Isacco suo figlio e lo depose sull’altare sopra la legna”  (Genesi 22:9): immagino che lacrime scendevano lungo le sue guance mentre si preparava per il sacrificio. Isacco non si ribellò all’anziano padre, ma si lasciò legare docilmente e deporre sull’altare. 
“Abrahamo quindi stese la mano e prese il coltello per uccidere suo figlio”  (Genesi 22:10); ma l’angelo dell’Eterno lo fermò. Abrahamo poi vide un montone impigliato in un cespuglio e “l’offerse in olocausto al posto di suo figlio”  (Genesi 22:13)

Immagina, per un momento, di essere Isacco, cerca di immedesimarti nei suoi pensieri durante quegli istanti. Isacco era stato sull’altare, pronto per essere immolato; solo pochi minuti dopo contemplò la scena del montone che veniva offerto in sacrificio su quello stesso altare. Pensa a cosa avrà provato nel vedere quel montone morire al suo posto!

Sulla cima del monte, Abrahamo e Isacco compresero molto bene il valore del sacrificio sostitutivo di Gesù; Dio illuminò le loro menti riguardo il meraviglioso piano della redenzione. Gesù stesso menzionò quel giorno, parlando con i Giudei: “Abrahamo, vostro padre, giubilò nella speranza di vedere il Mio giorno; lo vide e se ne rallegrò”  (Giovanni 8:56).

Abrahamo vide il sacrificio di Gesù attraverso l’esperienza vissuta in cima al monte; padre e figlio si rallegrarono nel vedere il montone morire, comprendendo che un giorno Dio avrebbe offerto “il Suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in Lui non perisca ma abbia vita eterna”  (Giovanni 3:16).
La loro gioia era costata una vita innocente; così, parlando di Gesù, la Bibbia dice che “il castigo per cui abbiamo la pace è caduto su di Lui, e per le Sue lividure noi siamo stati guariti”  (Isaia 53:5).

Abrahamo comprese, almeno in parte, la sofferenza del Padre nel vedere l’agonia di Gesù “trafitto per le nostre trasgressioni, schiacciato per le nostre iniquità”  (Isaia 53:5).
Isacco, invece, rappresenta il Figlio di Dio; come non si ribellò alla volontà del padre, lasciandosi legare e mettere sull’altare, così Gesù si sottomise alla volontà del Padre nel Getsemani e “abbassò Se stesso, divenendo ubbidiente fino alla morte e alla morte di croce”  (Filippesi 2:8).

“Per salvare gli uomini decaduti, il Cristo, il Re di gloria, offrì la Sua vita. Quale prova più grande Dio poteva offrire del Suo infinito amore, della Sua immensa compassione per l’uomo?”. (“Patriarchi e profeti”, cap. 13)
Certamente Colui che non ha risparmiato il Suo proprio Figlio, ma Lo ha dato per tutti noi, come non ci donerà anche tutte le cose con Lui?  (Romani 8:32).

mercoledì 30 gennaio 2013

23. La perla di grande valore

“Ancora, il regno dei cieli è simile ad un mercante che va in cerca di belle perle. E, trovata una perla di grande valore, va, vende tutto ciò che ha, e la compera.”  (Matteo 13:45-46)

Gesù, parlando del mercante in cerca di belle perle, ha raffigurato la vita di ognuno di noi; il mercante si trovava in un mercato ed era alla ricerca. Rifletti: chi cerca qualcosa è perché non ha ancora ottenuto ciò che sta cercando! 
Ogni persona, nella sua vita, cerca di sentirsi amata, di sentire che ha valore; il mercato di questo mondo ha molte cose da offrire. Ma è il posto sbagliato dove ricercare. Ogni volta che penserai di aver trovato ciò che il tuo cuore cercava, ti ritroverai a volere qualcosa di migliore. 

Ad un certo punto il mercante trovò una perla che catturò la sua attenzione: brillava, era bellissima e di grande valore. Ritornò a casa e vendé tutti i suoi beni per poterla acquistare. Immagina la reazione dei suoi familiari: "Sei impazzito? Che cosa avrà mai di tanto speciale quella perla?". Lo avranno giudicato impulsivo, squilibrato!

Ma il mercante aveva preso la sua decisione: non aveva mai visto niente di simile nella sua vita. Era disposto a tutto pur di avere quella perla. Sapeva che quelli che non avevano visto la perla di grande valore non potevano capirlo. "Se solo avessero potuto vederla!" probabilmente pensava fra sé.

La perla è Gesù. Niente in tutto l'Universo vale più di Lui. “Egli è prima di ogni cosa e tutte le cose sussistono in Lui” ; in Lui “sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della conoscenza" e "abita corporalmente tutta la pienezza della Deità”  (Colossesi 1:17, 2:3,9).

La domanda che viene rivolta alla sposa del Cantico dei Cantici è rivolta anche al cristiano riguardo Cristo: "Che cos'è il tuo diletto più di un altro diletto, perché ci scongiuri così?”. E la risposta è: “Il mio diletto... si distingue tra diecimila. Egli è attraente in tutto. Questo è il mio diletto, questo è il mio amico”  (Cantico dei Cantici 5:9-10,16).
Quando scoprirai in Gesù la cosa più preziosa della tua vita, dirai: “Chi ho io in cielo fuor di Te? E sulla terra io non desidero altri che Te”  (Salmo 73:25).

Chi non ha contemplato Gesù con i Suoi occhi non può comprendere la decisione di chi abbandona la sua vecchia vita di peccato per seguirLo. Ma chi ha mangiato il pane della vita, ha bevuto l'acqua viva considera ogni altra cosa come una “perdita di fronte all'eccellenza della conoscenza di Cristo Gesù” e “come tanta spazzatura per guadagnare Cristo”  (Filippesi 3:8).

La parabola ha una seconda applicazione: Gesù è il mercante in cerca di belle perle. Nell'umanità caduta, ribelle e corrotta ha trovato la perla di grande valore: “L'Eterno, il loro Dio, li salverà in quel giorno, come il gregge del Suo popolo, perché saranno come le pietre preziose di una corona”  (Zaccaria 9:16).
“«Essi saranno Miei», dice l'Eterno degli eserciti, «nel giorno in cui preparo il Mio particolare tesoro»”  (Malachia 3:17).

Abbiamo un valore così grande per Lui che ha dato tutto ciò che aveva, tutto ciò che era per poterci avere per l'eternità: “Voi conoscete infatti la grazia del Signor nostro Gesù Cristo il quale, essendo ricco, si è fatto povero per voi, affinché voi diventaste ricchi per mezzo della Sua povertà”  (2Corinzi 8:9).

“Pensi che sia un sacrificio troppo grande abbandonare tutto per Cristo? Poniti questa domanda: «Che cosa ha dato Cristo per me?». Il Figlio di Dio ha dato tutto - vita, amore e sofferenza - per la nostra redenzione! E come possiamo noi, oggetti indegni del Suo grande amore, negarGli i nostri cuori?”.  ("Passi verso Gesù", cap. 5)

giovedì 27 dicembre 2012

22. Uno spreco d'amore

“Questo infatti è buono ed accettevole davanti a Dio, nostro Salvatore, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati, e che vengano alla conoscenza della verità.”  (1Timoteo 2:3-4)

In un mercato sempre più saturo, il lancio di ogni nuovo prodotto deve essere pianificato nei minimi dettagli dalle aziende. Ogni azienda che investe parte delle sue risorse in un nuovo prodotto ricerca un profitto. Investire in un prodotto che si rivelerà un insuccesso è considerato a posteriori come uno spreco di risorse; nessuna azienda investirebbe in un prodotto sapendo in anticipo che sarà un fallimento.

L’apostolo Paolo affermò che Dio “vuole che tutti gli uomini siano salvati”  (1Timoteo 2:4); desiderare qualcosa senza fare niente per ottenerla è inutile. Dio non si è limitato a voler salvare tutti gli uomini, ma ha anche fatto qualcosa per salvarli. Infatti, poco più avanti Paolo aggiunge che Gesù “ha dato Se stesso come prezzo di riscatto per tutti”  (1Timoteo 2:6).

Gesù sapeva in anticipo che la maggior parte dell’umanità non avrebbe accettato il Suo sacrificio; sapeva che il piano della salvezza sarebbe stato un grande spreco d’amore. L’amore di Dio non accettato è il più triste tra gli sprechi. Rifletti: Gesù è morto per quelli che alla fine saranno perduti proprio come per quelli che saranno salvati.

Spesso ho sentito affermare che Gesù sarebbe venuto sulla terra a morire in croce anche solo per una persona. È vero. “Il Salvatore sarebbe passato attraverso l’agonia del Calvario perché anche solo un’anima che potesse essere salvata.”  (“La Speranza dell’uomo”, cap. 52)
Ma c’è di più. Certo, Gesù sarebbe venuto sulla terra anche solo per te, per uno solo; ma sarebbe venuto anche se avesse visto in anticipo che nessuno Lo avrebbe accettato.

Anche per zero.

“Gesù non pensò al cielo come a un luogo desiderabile quando eravamo perduti. Lo lasciò per una vita di disonore e disprezzo e per una morte vergognosa.”  (“Sulle orme del Gran Medico”, cap. 6)
Gesù non poteva rimanere in cielo vedendoci perduti; il Suo amore Lo costringeva a venire tra noi e a morire per noi. Lo avrebbe fatto anche per nessuno, perché il Suo amore per noi non dipende dalla nostra risposta.

Non poteva rimanere in cielo senza darci almeno la possibilità di essere salvati; il cielo ha investito tutte le sue risorse solo in una possibilità: “Il cuore di Dio si strugge per i Suoi figli di questa terra con un amore più forte della morte. Dando Suo Figlio, ha riversato su di noi tutto il cielo in un solo dono.”  (“Passi verso Gesù”, cap. 2)

Alla fine il sacrificio di Cristo sarà comunque un infinito spreco d’amore, a causa di tutti quelli che Lo avranno rifiutato; ma, per Gesù, ne sarà ugualmente valsa la pena. Prego che, almeno per te, la croce non sarà uno spreco d’amore; che, almeno per te, Gesù non sia morto invano.